Si
muore perché si sa di dover morire.
Purtroppo
è così. O per fortuna.
Proprio
perché immortalità rappresenta una conquista, ecco che è necessario
doverne prendere coscienza per acquisirne capacità.
Il
mondo cambia e cambia la realtà perché realtà è il mondo che si
concepisce.
Ciò
che si concepisce diventa realtà, è questione di tempo.
Oggi
realtà e tempo assumono connotati diversi. Il tempo non ha più
bisogno di dilatarsi perché la realtà può, concependolo,
comprenderlo nella sua nuova fisicità.
Concepire,
termine magico. Se accolto nella sua vera essenza permette di creare
ciò che, se non concepito, resterebbe informale; privo di attributi e
senza capacità.
Concepire
di essere vivi non deve significare esserlo soltanto, questo è
subire. Subire lo stato e subirne gli eventi.
Concepire
di essere vivi è essere vivi nella realtà che lo consente; realtà
creata proprio da chi concepisce la vita e l’esistenza.
Concepire
di essere uomini permette di esserlo, ma qui si ferma.
Tutto
il resto è un oltre. Oltre di sé e della realtà così concepita.
La
natura umana è una componente della vita, non è la vita stessa; né
la vita in assoluto. È ciò che consente di essere presenti in un
contesto che ospitando accetta ed impone: accetta chi vi arriva e lo
asserve alla sua condizione.
Quando
questa condizione diventa la ragione della vita ecco che allora è
sfuggito il senso della vita stessa che è esistenza, quindi
immortalità. Perché esistere per estinguersi non è presupposto di
vita bensì sinonimo di morte.
E
così è quando si pensa e quindi si concepisce la morte come
alternativa alla vita, specchio di una dualità che pone gli estremi
in eterna concorrenza per evitare che una visione di insieme dimostri
ed affermi che vita è qualcosa d’altro; che vita è esistenza
sempre e comunque.
Allora
bisogna considerare come le limitazioni possono creare conseguenze
indelebili, facendo perdere capacità perché impongono e consentono
capacità diverse; addirittura nocive ed autolimitanti l’esistenza
interpretando la vita in maniera duale.
Ci
si limita da soli perché così si concepisce.
Ci
si suicida non sapendo di farlo e si concorre ad una
realtà che come fondamento ha la morte e non la vita; solo perché si
crede necessario dover morire.
Morte
necessaria per rinascere sarebbe ancora un’alternativa, ma
necessaria in virtù di una speranza che possa consentire di essere
ancora è soltanto, è incompletezza di una realtà che mostra solo una
parte del suo volto: ora la notte, ora il giorno. E quando la notte
regna il giorno tace, e viceversa.
Riassorbire
la dualità è un compito ed un impegno. Comporta stimoli ed impone
difficoltà; ma per concepire. Per concepire la vita nella sua
immediatezza che nulla concede all’imprevisto.
Realtà
è oggi e l’oggi impone che gli eventi non debbano susseguirsi ma
essere colti nella loro interezza che è unità: molteplicità
apparente di qualcosa che vivo vibra in maniera universale perché
questa è la vita.
C’è
chi vive e c’è chi muore, ma chi muore lo fa perché non sa che
deve ancora e sempre vivere; e così per accertarlo inizia il viaggio
che l’esistenza impone quando ad ogni fermata ci si deve rendere in
fondo solo conto di essere sempre ed ancora vivi; sempre e comunque.
Vivi
per l’eternità perché eternità è sinonimo di incomprensione:
soglia non varcata da chi non comprende che la vita è sempre; sempre,
comunque ed ora.
Ora
ed eternità sono l’altra faccia dell’irrisolto che è la vita
intera. Perché se vita fosse capacità, l’eternità non avrebbe
motivo di essere: infatti si sarebbe concepito l’ora. L’ora che è
l’attimo immortale che contiene l’interezza della vita in chi sa
che non è più necessario dover morire per continuare a vivere.
Infatti
basta solo vivere, ora e sempre.
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