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Sofferenza psicologica 5 gennaio 2004
La
sofferenza psicologica è ciò che più attanaglia l’uomo. Più della
sofferenza fisica. Chi
si ammala soffre proprio perché sta male e, tanto più il male colpisce,
maggiormente ne risente. Ma
non tutti sono ammalati nel fisico, anche se tutti soffrono nell’anima. Soffrono
perché manca loro qualcosa. Manca il benessere interiore che è alla base
della vera serenità, quella Pace interiore, nel cuore, propedeutica per
la ascensione in Vª dimensione. La
crescita spirituale che si rincorre si può misurare in base a come ci si
sente dentro. Senza comunque rassegnazione sugli eventi o apatia nei
confronti della vita stessa. Vivere
è sapersi vivi e liberi d’essere ed agire. Poco
importa se dopo, e solo dopo, si decide che è sufficiente seguire il
progetto divino per essere veramente vivi e liberi, ciò che conta è
esserne consapevoli. E la consapevolezza è conquista, non rinuncia. La
Pace nel cuore è pertanto conseguenza e non dono, anche se dono può
sembrare a chi si ritrova ad operare in sintonia con dettami che
permettono di aprirsi all’oltre e di prendere confidenza con stati
d’essere che non è possibile percepire se prima non si è determinato
in se stessi quella condizione neutra che ne permette l’ascolto;
l’ascolto della voce interiore; del maestro che ognuno ha ed è se si
fonde col proprio vero essere, eterno ed immortale.. Dire
questo è anche lanciare una sfida all’uomo che, misurandosi con
l’oltre, vuol comprendere se la sua carne (e pertanto la fisicità) è
l’unica certezza o se c’è dell’altro che non può essere (più)
relegato nella sfera della speranza e (di conseguenza) della passività
(anche se la si denomina “divina”). Sfida
accettata quando, bando alle chiacchere, si agisce. Si agisce verso una
condizione che è anche dimensione; propria ed interiore. Propria e di
nessun altro, anche se comune a tutti. Si
può accettare la sfida o continuare ad aspettare. Affrontare
la realtà può voler dire lasciarsi vivere accettando e soffrendo, o
vivere “accettando la sfida che porta ad essere se stessi”. Porta a
conoscere per essere; per essere se stessi. Quel sé che, già dentro, è
prova concreta che non si muore e che “fisicità” è solo un modo di
vivere la vita. È solo una parte della immensa vita che la vita è. Ci
si crede importanti dando all’importanza i valori dell’effimero. Sulla
transitorietà si costruiscono imperi non considerando che, senza l’
immortalità, tutto è solo pura e semplice illusione. Apparenza che
scompare perché non si ha la forza e la consapevolezza di “portarsi
dietro” ciò che appartiene al mondo fisico e col mondo fisico scompare.
Scompare
perché lì resta, senza che niente e nessuno possa avere la capacità di
trasferire in altro regno ciò che, fisico, non può andare “di là”. E
quando così ben sembra, quando sembra che nell’aldilà ci sia ancora un
prosequio di vita terrena, è ancora e solo l’illusione che continua.
Continua ad illudere chi, credendo, spera ancora d’essere vivo in un
mondo di morti che sono vivi in modo diverso. La
continuità della vita terrena cessa con la morte perché “nell’altra
vita” si è in un altro regno e, o questo regno l’uomo se lo conquista
in Terra, oppure sarà vivo nel regno dei morti dovendo però tornare ad
essere vivo nel regno dei “vivi” in Terra. Vita
e morte, se in apparenza sembrano facce contrapposte della stessa
medaglia, restano mondi separati fin tanto che non ci si prende la briga
di unificarli. Unificarli da vivi in Terra essendo così vivi anche in
cielo, oltre la morte. Ma
tutto ciò passa, e deve passare, attraverso la sofferenza psicologica
(quella fisica è mordente per il risveglio verso quella psicologica, così
come quella psicologica è mordente per il risveglio dell’anima in
Terra), che costringe ad affrontarsi per, fermandosi, chiedere perché. Chiedersi perché tutto questo? Perché
non si può godere della vita fino in fondo. Tanto si sa che prima o poi
deve cessare. Ecco
cosa affligge l’uomo: la certezza che prima o poi dovrà morire. Se egli fosse consapevole del contrario, e quindi d’essere eterno, tutti i valori attribuiti in Terra ed attribuibili in cielo verrebbero a cessare. Sarebbero insufficienti o inopportuni. E,
se un valore celeste è inopportuno, ciò vuol dire che o non è vero o
manca l’intima essenza che, parlando al cuore, fa fiorire l’anima. Quando
l’anima è sveglia in Terra tutto rifulge della sua vera luce senza
essere appannato da una vista offuscata dall’effimero e dal transitorio
i cui colori celano la caducità delle cose e non l’immortalità
dell’essenza. L’essenza
è viva. Anima di sé offre il suo stato d’essere per coronare il sogno
celeste che è vita vera e solenne. Non illusione che la vita possa ancora
essere dopo la morte che fa scomparire l’uomo. Ma, forse, non l’anima
sua. |
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