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Guerra? Pace! 21 novembre 2003
Ciò che accomuna è la Pace. Quel che separa è la guerra. La guerra diventa strumento d’unificazione e di pace se fa crescere il rifiuto verso questa forma di supremazia perché se ne rinnegano i “valori” che contiene. E senza esitazione alcuna perché:
La
forza che esprime violenza mina ogni democrazia che si basa su libertà e
benessere, perché queste sono conquiste volontarie dove l’adesione è
spontanea. Le
ragioni della guerra esprimono sempre interessi e sete di conquista. Anche
quando la guerra sembra legittima perché difesa ad attacchi che si subiscono,
alla base c’è sempre una mancanza che “la rende necessaria” e che
“avvalla” le altrui ragioni. Parlare
di diritti e ragioni, cercando nella guerra l’elemento conciliatore, denota
l’insufficiente forza d’animo in chi ha bisogno proprio della guerra per
imporsi; o per imporre le proprie idee o la propria religione. La
legge del più forte esprime bene il concetto vita nel regno animale. Anche chi
con attentati rivendica le sue ragioni, esprime pari sensibilità. Ed anzi
peggio, perché colpisce indistintamente, e quasi sempre, chi magari non
condivide nemmeno le ragioni dei belligeranti. E forse non ha nemmeno un credo
da salvaguardare. Del
resto è anche normale che l’uomo “evoluto” arrivi a questi livelli. Perché,
chi discende dagli animali, ha sempre in sé i geni del possesso e del
predominio sul branco da esaltare attraverso la forza fisica. L’uomo,
proprio perché evoluto, esprime “queste qualità” in modo più sottile: le
maschera come affermazione di giustizia e libertà; come salvaguardia dei
diritti umani. Costituisce addirittura associazioni internazionali che ne siano
garanti. Garanti di lasciar morire uomini per fame e per sete: altra faccia,
questa, impietosa della guerra. Libertà è una parola che suona forte e vibra piano. Nessuno dovrebbe conquistarla poiché diritto per nascita; se così non è, l’unico responsabile è l’egoismo. Civiltà
basate sull’ego non possono
che rispecchiare sete di possesso. Possesso allargato a quanti,
attraverso deleghe, danno a pochi la possibilità di prendere decisioni che
forse poi nemmeno condividono. Però è cosi. Non
ci si vuol macchiare la coscienza uccidendo mosche ma si resta indifferenti
quando sono uomini a morire. Si accetta che succeda perché sembra sufficiente
non farlo personalmente. La
morte di un uomo è ormai un luogo comune. Non da fastidio anche quando avviene
non per cause naturali. E, a meno che non riguardi i propri cari, la morte può
essere accettata supinamente. Ormai
si è dentro una spirale che coinvolge tanti ed appaga pochi: quei pochi che
possono trarne profitto. Profitto che nell’epoca del consumismo non è poca
cosa. A condizione però che tutto avvenga sotto l’egida della giustizia e per
la libertà. Libertà propria e di pochi intimi. Ma
ciò che conta e dovrà contare è l’uomo: la sacralità dell’essere umano.
Sacralità in quanto l’uomo “cambia pelle” e da animale evoluto può
diventare uomo spirituale. Può diventare l’essere che si affaccia a
contemplare il mondo riconoscendogli fattezze divine. Uomo che per questo non può
subire condizionamenti che, affermando l’egoismo, precludono l’apertura
verso quell’immenso che è l’universo dove si accede dal cielo interiore. Ogni
uomo possiede un cielo che lo pone a diretto contatto col suo essere superiore;
dove il possesso non ha valore alcuno e conta solo essere liberi. Liberi
perché capaci di esserlo; senza limiti e frontiere, senza vincoli e barriere,
dove ognuno contribuisce con la sua opera a far sì che tutti possano accedere a
tale stato di coscienza. La
Pace diventa simbolo perché consente di raggiungere lo stato d’animo idoneo
per entrare le regno dei cieli; quel cielo interiore che è porta sottile che
non lascia passare chi non ha maturato la Pace nel cuore.
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