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Emblema

18 gennaio 2004

 

L’emblema dell’amore è la libertà.

Come dire che non può esistere amore senza il dovuto rispetto verso tutto e tutti lasciando così alla libertà il compito d’autogestirsi in maniera pacifica, razionale e significativamente appropriata sempre.

La libertà comunque impone regole, perché nel sentirsi liberi non bisogna limitare quella altrui; prevaricando spesso, a mò di soprusi, i diritti della natura che a pieno titolo intende essere se stessa.

Stabilire con esattezza il modo in cui agire in ogni situazione diventa un atto di coscienza se ci si spoglia di quella scorza dura che limita a fini prettamente personali, o comunque riconducibili all’ottenimento di qualcosa che non tiene conto delle esigenze altrui ma impone sacrifici e sudditanza; se non addirittura scompensi per sostenere progetti cui non si crede e che anzi non si approvano né avvallano.

Agire nel segno della libertà non deve restare un sogno d’utopistica realizzazione. 

Può diventare concreto, e la realtà ne guadagna, se esercitando il “potere” si amministra il Bene Comune. Qualcosa cui ognuno può attingere liberamente e che non costringe ad essere schiavi di valori la cui portata si disperde e consuma solo ed unicamente nell’ambito dove sono stati osannati. Senza che di loro resti traccia alcuna quando (giustamente perché così si crede o spera) la vita è ancora viva in chi, finito un ciclo, ritorna essenza di sé e ne ha coscienza.

Certo questo vale per chi ci crede o così spera, però riguarda tutti proprio perché manca la conferma: quella certezza che ha solo chi diventa l’essere immortale che ora manca.

Riuscire ad essere se stessi vuol dire tante cose, ma in fondo in fondo importante è una: la consapevolezza d’essere immortali perché già vivi in altro mondo.

Definire questo troppo poco poiché semplice illusione o perché la mente non approva, non esime dal vanto della prova. Che poi è obbligo che assume, nei confronti di se stesso, chi solo provando può dire non è vero.

La morte, è certo, ha qui la sua dimora perché di qua nessuno n’esce immune.

Però nell’uomo “muore” la cellula, e lui vive; e in lui la vita si rinnova. Ma l’esperienza la coglie chi la vive.  

Solo questo fa crescere e capire.

Ecco che allora occorre pur provare. Per capire se è vero che la morte non esiste perché riguarda solo quella parte di sé che, cellula, si rigenera e continua a vivere.

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