Vivere la vita 11 aprile 2005 Lasciare ad altri il compito di gestire la propria vita consente a questi di pilotare ed a se stessi di perdere il controllo su aspetti che sicuramente potrebbero essere determinanti se considerati assumendosi le proprie responsabilità. Se poi questi aspetti riguardano la vita in prima persona, e cioè cosa c’è dentro ogni essere che consente di essere vivo, è evidente che mai potrà esserci presa di coscienza su qualcosa che ben per questo viene posto al di là da se stessi.
Certo può far comodo non affrontare l’ignoto per paura di perdersi ma, se questo ignoto è dentro se stessi, si perde una grossa opportunità per verificare il perché si è vivi. E perché si è ora proprio qui sulla Terra.
Lasciare al caso ogni responsabilità su ciò che succede non esime dal cercare di capire il perché della vita; perché una volta vivi e presenti, (anche dando per scontato che nascendo sulla Terra possa non esserci una volontà propria nel volerlo fare e/o a decidere dove nascere ed in quale famiglia, e quindi attribuendo il tutto alla casualità anziché alla causalità), la propria vita appartiene e si ha il diritto dovere di viverla.
Vivere la vita può essere un fattore di intima convinzione oppure un seguir l’onda.
Ciò che in apparenza può sembrare conveniente perché esime da responsabilità si può trasformare in un boomerang perché, arma a doppio taglio, ferisce proprio dove invece sarebbe opportuno sanare vecchie ferite. Qua si entra in un campo minato perché, presupporre vecchie ferite tirando in ballo l’anima, non solo può non piacere o trovare consensi ( in chi esclude in toto tale presenza), ma perché si ammette una presenza viva dentro se stessi (al contempo disconosciuta e distante da sé).Ecco quindi che lasciare ad altri il compito di fare da intermediari tra sé e se stessi crea un velo scuro perché da soli si chiude la porta che collega la vita fisica con ciò che (oltre, al di là ed all’ interno di sé) si è nella dimensione in cui si è vivi oltre la vita fisica.
E, se tale è il presupposto, è del tutto normale che non si comprenda perché si è vivi; e perché si è vivi ora sulla Terra. Manca il contatto con quella parte di sé che non solo può chiarire, ma addirittura intervenire direttamente se ci si autoriconosce in ciò che si è oltre lo spazio tempo della Terra e la Terra stessa.
Tale autoriconoscimento è un atto dovuto che permette la reintegrazione con la propria anima, ente preposto a spaziare nella galassia anche a livello fisico (fisico adeguato) quando l’uomo riesce a fare il suo passaggio qualitativo che lo immette nella sfera dove la divinità assume connotati diversi in quanto tanti di questi (stessi connotati) sono divenute capacità umane; dell’uomo nuovo.
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