Programmare

25 settembre 2007

 

Programmare appartiene a ciò che è stato. Programmare presuppone certezze su cui fare affidamento per pianificare il futuro e questo non è più possibile. Infatti bisogna addentrarsi dove le leggi che regolano il corso della vita non hanno bisogno di programmazione personale perché gli automatismi che esprimono sono di natura differente rispetto all'ordinario conosciuto. Si deve concepire che più si cerca di programmare e più ci si scontra con ciò che fluendo esprime il suo stato che immunizza alla nuova realtà.
Questa realtà, già in atto, risente delle resistenze psicologiche di chi non ha ancora capito che per essere nel flusso bisogna sapervi entrare e permanere. Risente nel senso che (questa realtà) non appare chiara a chi inconsciamente la ostacola perché non si rende ancora conto dell'avvenuto cambiamento che coinvolge ogni cosa nel suo stato d'essere.


Comunque questo aspetto è relativo. Occorrono solo i tempi tecnici affinché le coscienze possano prendere atto che il vecchio mondo con il suo modo di essere non ha più motivo di esistere. Ne può manifestare qualcosa che ormai esula dalla nuova realtà.


Questo ostacolo però ha un'incredibile valenza. Serve a consolidare lo stato d'essere di quanti aderendo all'opera erano in attesa di segnali forti che avvallassero quello che poteva sembrare frutto di fantasie o aspirazioni trascendentali di dubbia realizzazione. E, se da un canto da forza e vigore a chi si è preparato all'evento anche se ne ignora dettagli e risvolti, spiazza completamente chi, sicuro d'aver conquistato certezze, certezze dal punto di vista economico e sociale, si ritrova a dover fronteggiare una realtà che gli è ostile poiché non si basa su un certo tipo di valori.
Per tanti sarà uno scossone, duro da digerire, paragonabile a chi morendo non si rende conto d'essere ancora vivo in una condizione diversa e che a nulla vale voler attingere a ciò che ormai ha irrimediabilmente abbandonato. Senza bisogno di dovere morire per sperimentare la nuova condizione.


Se da un lato quindi bisogna prendere coscienza che le vecchie certezze scompaiono perché viene fatta tabula rasa del potere su cui si basava la vecchia realtà (denaro e forme di possesso e o dittatura), parimenti bisogna che il nuovo inizi a dare quei frutti che non sono certo supremazia e potere nei confronti di chi ancora indietro ha bisogno di tempo, ancora del vecchio tempo, per adeguarsi così da essere nella condizione di assaporare il passaggio dimensionale.


Un passaggio dimensionale non è qualcosa che immediatamente allinea tutti. È una porta energetica aperta che consente il transito (a chi vuole aderire a ciò che esso rappresenta) entro un determinato periodo. Un periodo in cui viene facilitato il passaggio collettivo in quanto espressione di un cambiamento che riguarda il pianeta e quindi l'umanità. Quando la porta si chiude allora diventa più difficile inserirsi in realtà più profonde. Va fatto a livello individuale potendo godere dell'appoggio inerente all'opera che si porta avanti e non più di aiuti particolari per agevolare la collettività.


Evidente quindi che l'attenzione, proprio perché rivolta verso la collettività, deve tenere conto di possibili adeguamenti in chi non pronto ha però caratteristiche per addentrarsi dove la realtà esprime il senso della vita a livello essenziale ed in funzione della conquistata immortalità.


Ben per questo gli scossoni destabilizzanti. Per far sì che le coscienze prendano subito atto che ogni certezza su cui fare affidamento è relativa, perché relativo il modo di vivere sulla Terra basato su nascita e morte con conseguente abbandono di ogni ricchezza fisica e presunte capacità.
Un aspetto questo di fondamentale importanza. Perché per entrare nel nuovo bisogna sapersi spogliare del vecchio; ed il vecchio va inteso in modo complessivo e non limitatamente a ciò che si vorrebbe fosse diverso.


Essere diversi ha comunque una sua logica. Nella nuova realtà tutto si basa sulla collettività a livello di fratellanza dove ognuno da il meglio di sé sempre, a prescindere dalle capacità e dalla ricompensa. In effetti, proprio perché manca la ricompensa, decade il senso del possesso.
La cosiddetta superiorità nei confronti di altri è uno stimolo per elargire ciò che si ha permettendo loro di migliorare. Perché non trattenendo per sé si ha, come automatismo, la possibilità di arricchirsi di quello che altri ancora hanno da donare essendo a loro volta esseri superiori rispetto a questo tipo di nuova realtà.
Fermo restando però che la base è diversa: si edifica avendo come presupposto la certezza di essere immortali; perché chi entra nella nuova realtà, chi oltrepassa la porta, ha sperimentato che questa è una sua capacità.

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