Ascoltare il silenzio 20 giugno 2007
Meditazione è ascoltare il silenzio in silenzio, spegnendo la mente. Cosa fattibile se si comprende com'è fatta la mente e come funziona. Se si comprende che c'è una valvola, un relaix che può essere disattivato a piacere e che pone la mente in stadby; in attesa di nuovi input. Il punto è capire chi ha la capacità di farlo e che evidentemente non può trovarsi all'interno del reticolo energetico con il quale la mente si interlaccia captando ciò che il bisogno attira a mò di calamita. Bisogno che quando non voluto si manifesta a livello inconscio, anche perché ci si è dimenticati di disinserire la mente che, continuando a funzionare senza guida, continua a proporre anziché risolvere. Questa guida, chi è nella condizione di adoperare la mente, non è l'uomo (che anzi rispetto a lei è su un piano inferiore in quanto coscienza che cerca il bandolo della matassa per capire chi è) né la mente stessa (che anzi “gira” a vuoto disperdendo l'energia di cui si nutre), è la consapevolezza che (per esprimersi nell'uomo) carica di energia (pensiero superiore racchiuso in essenza) la mente affinché esegua. Cosa che la mente sa fare molto bene quando dallo stadby viene attivata ed immessa nel suo ruolo. Bisogna però capire come fare a riportare le cose allo stato originario, quello in cui non c'è ancora la suddivisione in compartimenti che fanno pensare all'uomo (in quanto coscienza) di essere il detentore della sua vita senza averne consapevolezza, alla mente di potersi muovere a suo piacere volendosi imporre con ciò che crede siano reali possibilità di successo (senza averne coscienza né tanto meno consapevolezza), ed alla consapevolezza stessa di essere tale (quindi consapevolezza) senza però coscienza perché priva di esperienza. Problema che sussiste perché si crede che tutto stia su un piano lineare dove bisogna percorrere distanze abnormi per raggiungere ciò che è già vivo e presente a livelli più profondi per cui è sufficiente fermarsi ad ascoltare. Il movimento quindi (l'apparente dimostrazione della vita in quanto vibrazione che interrogandosi si esamina percorrendo il flusso che ne determina la causa) da attributo di esame diventa scopo di vita; da espansione del pensiero (pensiero superiore) immesso nella mente per eseguire un concetto (ampliandolo così da renderlo evidente nel piano in cui si opera) diventa forma e significato di vita; che, persa la carica (o meglio esaurita poiché era attinente ad uno scopo ben preciso da eseguire), non può che rilasciare una sintesi che (anche se viene vista e confusa come morte) arricchisce (poiché lo dimostra) la consapevolezza che lo aveva animato in un piano dove era opportuno condurre quel tipo di esperienza. Se manca la distinzione tra i vari aspetti e gli stessi (cercando di scoprire chi si è) vengono confusi ed addirittura ingarbugliati tra di loro, è evidente che tutto ciò diventa regno della mente che fa della confusione il suo riferimento. Occorre rimettere in ordine ciò che non da la possibilità di comunicare in modo corretto. Occorre chiarire a se stessi che si è nel piano in cui si è e quali reali possibilità si hanno per comunicare con chi si è in stati più profondi dell'esistenza se si intende prenderne coscienza per raggiungere uno stato d'essere che permetta di essere contemporaneamente vigili ed attivi dove si è e dove la consapevolezza opera per animare la manifestazione. Va da sé che, se anziché sforzarsi per volere penetrare a tutti i costi in un regno dove non si entra con la forza ma nel silenzio, se veramente si è motivati ed in linea coi principi che lo consentono (e quindi con gli ideali e gli scopi che caratterizzano il piano della consapevolezza, senza pertanto volerla usare ed abusarne per fini egoici legati al piacere ed al possesso) avviene che si apre il contatto che permette l'inizio del rapporto diretto utile ed informativo su come procedere per renderlo duraturo ed efficace. Ma innanzitutto deve esserci comunione di intenti. Se manca tutto il resto è ininfluente perché non può esistere. Non si entra nel piano della consapevolezza senza essersi prima ripuliti delle scorie che ancorano al piano fisico. Il ché non significa che non possa avvenire nella carne, anzi deve, ma con fini ed intenti ben precisi. Conoscendo la via, una volta che si è capito il meccanismo, bypassare la mente è una sciocchezza: basta disattivare il contatto che la rende attiva e, permettendole di riposare, ci si accorgerà che funziona meglio se guidata. Solo che, aumentando la carica che le si immette attraverso un pensiero diverso, più profondo e pregno del motivo di ciò che si intende realizzare, funzionerà in modo esponenziale alla carica ricevuta e quindi in maniera adeguata (perché le è possibile) al piano verso il quale viene indirizzata la sua opera. Per spegnere la mente però non bisogna aver paura di farlo. Bisogna capire che non succede nulla che abbia attinenza con la morte, e bisogna evitare di darle ordini che vadano in contrasto con lo stato per cui è stata ideata che, se in funzione, le impone il movimento. Lo stadby della mente coincide con l'ascesa da parte dell'uomo (della coscienza) ad un suo livello più profondo che, quando avviene, consente di presenziare a particolarità che vanno oltre le capacità umane in senso lato. E quando avviene, avviene. Sono semplicemente maturate le condizioni che lo consentono. La volontà serve per perseguire lo scopo e perseverare nel cammino proprio quando la mente pone ostacoli per non perdere potere. La coscienza dispone della volontà e la usa; la consapevolezza dispone della mente e la usa. La volontà è come un cavallo che la coscienza può domare; la mente è come un cavallo che la consapevolezza ha domato. La coscienza (umana) però non saprà mai domare la mente. |
||
www.ottavaora.it
|