Noi viviamo interpretando il
tempo in maniera lineare e consecutiva. Il
passato è ciò che è stato ed il futuro quel
che sarà.
Se però prendiamo in
considerazione il momento presente, questo
ha già in sé ciò che il passato ha prodotto
mentre si sta proiettando verso il futuro.
In una visione a ritroso
rispetto al presente è evidente che l’oggi
racchiude in sé ciò che è stato e questo
permette la possibilità del riesame del
contenuto; del passato. Cosa che comporta la
presenza (intesa come attenzione) sia nel
momento presente sia dove si indirizza
l’indagine retrospettiva.
Come in un film quindi si
rivedono scene relative ad un tempo ormai
andato mentre contemporaneamente si è nel
proprio momento, nel proprio presente.
Questo da la possibilità di
una riflessione che riguarda e coinvolge
tutti perché ognuno ha un suo passato.
Riflessione che comporta l’accettazione che
in questo momento si può essere presenti
contemporaneamente in più dimensioni se se
ne ha coscienza.
Saper rivisitare il passato
non è ricordo ma osservazione neutrale di
ciò che è stato, esente da emotività e
coinvolgimento.
Per riuscire bisogna adattare
se stessi ad un modo di essere esente da
proiezioni. Nel senso che la consapevolezza
deve essere in linea con l’azione e non
distribuita in tante parti. Cosa che siccome
avviene sempre non sviluppa mai uno stato
d’essere esente da dualità ed emozioni.
Lo stato emozionale fermo, la
mancanza di emozioni dunque, si ottiene
rendendosi conto che non è importante
rivivere ciò che ha fatto gioire, soffrire o
semplicemente vivere; è sufficiente
osservare.
Il che comporta difficoltà da
superare, ma solo di tipo mentale. Non serve
a nulla imporselo, è sufficiente comprendere
che è possibile; agendo dopo di conseguenza.
Il presente ora inizia
a funzionare solo quando si attiva il
processo che ne consente l’esecuzione.
Sembra assurdo ma è così. Se mai ci si
immette nella soluzione del “problema” lo
stesso rimarrà sempre inevaso.
Del resto solo provando è
possibile sperimentare e la sperimentazione
è l’unica prova che offre risultati
tangibili alla propria coscienza.
Ecco appunto la coscienza, la
grande amica nemica che rende tutto semplice
o impossibile.
Ma finanche la coscienza è
una attività che, pur sembrando possedere il
predominio sulla azione, si limita ad
incamerare i risultati che qualcun altro ha
prodotto.
Questo qualcuno ha un nome
ben preciso, l’anima, il sé che si è in una
dimensione tempo spaziale che può essere
identificabile come futuro. Come se il sé
che si è ora, acquisendo sempre più
coscienza attraverso le esperienze maturate
nel tempo, sarà nel futuro un sé diverso e
più maturo rispetto a ciò che ora ognuno di
noi può verificare di essere.
Questo sé non è ipotetico, è
semplicemente vivo in una dimensione
definibile futuro perché non si è nella
capacità di essere ora ciò che si è in uno
stadio della esistenza dove si è spettatori
sia dell’oggi, sia del passato rispetto
all’oggi, sia del futuro rispetto ad oggi ma
che è passato rispetto alla dimensione in
cui si trova chi sta osservando; rispetto
all’anima.
Il punto comunque non è
spiegarsi l’anima, ma vedere se è possibile
essere presenti con coscienza nella
dimensione dove l’anima risiede e vive la
sua realtà che è necessariamente diversa se
in sé racchiude e contempla il tempo che
determina sia il proprio passato quanto il
futuro.
Tempo esprimibile come
continuità lineare o come dimensioni che
racchidono cicli di linearità che
riassorbono il passato in un presente
rivisitabile; tempo rivisitabile per chi ha
tale capacità, ma contemporaneamente tempo
reale, presente e vivo per chi tale tempo
vive imprimendo la propria impronta.
Come dire che il tempo
relativo è realtà vera e tangibile per chi
la vive ma è anche contemporaneamente solo
una parte di un ciclo per chi esplorando
tale relatività non si lascia coinvolgere
restando irretito in una maglia energetica
che fa perdere la condizione che consente di
poter spaziare dove la fisicità non ha
visione, accesso e capacità.
Ciò che rende evanescente
l’anima nascondendola alla sensibilità di
chi, per conoscerla, deve come minimo
volerlo fare è la coscienza; la propria
incapacità ad operare dove per esserci è
sufficiente volerlo. Perché si pensa che
l’anima si trovi in un luogo dimensione
completamente diverso rispetto a dove si è
ora proiettando così nel tempo ciò che per
forza deve poi essere reintegrato nella
coscienza. |