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Riflettere

10 aprile 2008



Riflettere è un modo per accorgersi che si può contattare la propria interiorità. La riflessione è fatta anche di silenzio e di ricerca. Si cerca nel silenzio per capire, per ponderare, per fare in modo che emerga qualcosa dall'interiorità. Tipo un messaggio, o un'intuizione, un pensiero insomma che possa dare delucidazioni su ciò che si stava considerando.


Il processo della riflessione non è particolarmente semplice. Spesso si è distratti nel farlo o si è distratti da altro. Tuttavia con la riflessione si apre una porta sottile che può condurre all'introspezione, passaggio notevole perché autoesaminandosi, se lo si fa, si devono affrontare aspetti che se presi bene in considerazione possono riservare molte sorprese. Ci si può accorgere di essere predisposti in modo naturale verso l'ascolto di sé. O addirittura scoprire che c'è chi vuol comunicare e resta inascoltato perché non ci si pone nella condizione che consente di sentire. Anche perché nella maggior parte dei casi si ignora che è possibile farlo.


Ma riflettere consente anche di considerare aspetti che emergono spontanei anche se non hanno attinenza vera e propria con ciò che si intendeva considerare. Può capitare che aprendo questa porta, solo perché lo si è fatto, arrivino intuizioni, sprazzi di luce o conoscenza che non si sa nemmeno come definire e quale ne sia la provenienza. Così come può succedere che non succeda proprio niente. Anche se quando è così molto dipende dalle aspettative che si hanno. Se ci si aspetta niente difficilmente non succede niente. Quando la coscienza è in ascolto, se veramente ascolta, c'è sempre qualcosa da prendere; o da apprendere. Che in fondo è la stessa cosa.


Concentrarsi sulla riflessione non deve costituire né un obbligo né un peso, semplicemente un fatto naturale; così da usare la riflessione come concentrazione nei confronti del silenzio. Così che, facendo silenzio, generando il silenzio nella propria interiorità, possa emergere chi nel silenzio ha riposto le sue radici e la cui bocca parla quando tutto tace; quando tace non solo la mente ma anche la coscienza.  Quando l'osservatore stesso (la coscienza che sa ascoltare in silenzio) capisce che l'essere osservatore (anche neutro) è pur sempre una prerogativa che non consente di accedere nei reami della interiorità dove non si entra se prima non ci si libera di condizionamenti ed attaccamenti vari, tutti ostacolo verso l'identificazione in tale nuova realtà.


Una realtà è reale quando lo diventa. Parlare di realtà diversa e non conoscerla non vuol dire niente, a meno di non volere intendere nel termine diversa qualcosa di incomprensibile e che infatti non si sa descrivere.


La realtà interiore è diversa da quella fisica. Ma è viva e vera molto di più di quella fisica perché infatti non collassa quando la coscienza lascia il corpo a causa della morte fisica. Non può collassare sia perché non faceva parte della realtà umana, sia per il fatto che essendo realtà interiore ed essendo l'interiorità uno stato d'essere, questo stato si potrebbe perdere solo dopo averlo acquisito. Anche se, pure in questo caso, non collasserebbe la realtà interiore ma lo stato d'essere di chi la conteneva perché si era accorto di farne parte, di essere contenuto nella stessa.


Stabilire la consistenza tra contenuto e contenitore non è estremamente semplice, anzi difficoltoso da considerare se prima non si comprende che una realtà interiore, poiché è dentro di sé in modo non fisico, non solo non ha attributi fisici ma inizia (si fa per dire) dove la pur minima parte fisica scompare.
Essere contenuti in questa realtà è anche naturale, visto che incorporea, è più attinente alla coscienza che non alla fisicità. Ma la coscienza è un attributo impalpabile, sottile, e definirla eterea equivale a volerle dare una connotazione di libertà per farla librare in alto, nel cielo; solo che il cielo in questione, quello che la coscienza può visitare è interiore, dentro di sé. Talmente dentro che quando la coscienza lo scopre, più che esserne attratta, lo teme. E lo teme perché abituata alla fisicità non si è ancora resa conto d'essere anche coscienza di energia, di luce, di pura luce.


E qui il punto è capire cos'è la pura luce. Perché se la si intende diversa dal buio si rientra nei parametri di una realtà che pur non conoscendola si vuole definire; se la si intende come spirituale, legata alla divinità, praticamente è lo stesso. Si colora qualcosa non solo in modo arbitrario ma addirittura ignorandone la forma.
La pura luce è una luce interiore e si accende quando svegli si entra a far parte di una realtà interiore in piena coscienza di sé. Perché avendo concepito di essere anche energia, pura energia, non solo si comprende ma si realizza che il corpo, il corpo fisico è in fondo un alibi per non volersi addentrare dove la vita non ha bisogno della fisicità.
Per concepirlo però occorre sperimentare ed è per questo che, attraverso graduali passaggi, tra cui quello iniziale della riflessione, si può entrare in contatto con chi da dentro di sé inizia ad indirizzare la coscienza di carne per farle realizzare che è anche coscienza di luce, di pura luce.
Inizia un viaggio nuovo e meraviglioso dove si spazia in profondità (nei cieli interiori) che la coscienza non potrà mai dimenticare quando ne prende coscienza.