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L'invisibile 28 aprile 2008 Per accorgersi di qualcosa non prettamente fisico bisogna considerare con che cosa si viene a contatto e come fare a stabilire un rapporto di reciprocità. Se si hanno delle aspettative può sfuggire tutto ciò che non rientra in ciò che si è ipotizzato. Anche se l'apertura verso l'invisibile presuppone poter vedere qualcosa che in qualche modo deve apparire, il punto cruciale è cosa ci si aspetta che appaia. La realtà invisibile ha suoi requisiti senza i quali è ben difficile poterla contattare e ancor di più vedere. Requisiti che devono divenire propri se si vuole ottenere il contatto con tale dimensione. Del resto l'altra faccia della medaglia è che la realtà invisibile ha le stesse difficoltà nei confronti di quella fisica se vuole contattarla direttamente. Si tratta di strutture diverse con forme di vita diverse che per comunicare devono trovare e riconoscere un punto di incontro. Sicuramente è meglio predisposto al contatto l'uomo emozionale (la parte umana in grado di cogliere le sensazioni) che l'uomo mentale (la parte proiettata a voler cavalcare la sua stessa fantasia), ma il punto è che entrambi gli aspetti non sono nella condizione di magnetizzare la realtà invisibile rendendola approcciabile. Deve avvenire una fusione tra gli stessi aspetti producendo un essere capace di una fisicità diversa; e quindi con requisiti atti allo scopo che si intende realizzare. Se lo scopo è personale lo sforzo è personale. Dipende da se stessi riuscire o meno nell'opera. Se lo scopo riguarda un fine particolare (che va realizzato perché utile alla collettività) allora lo sforzo, oltre a coinvolgere la realtà invisibile (che volendosi manifestare agevola l'uomo che si proietta verso di lei), è sorretto da chi può semplificare il tutto. Da chi può fornire opportune indicazioni su come apportare modifiche strutturali così da realizzare quello che è un vero e proprio progetto; quello che invece rappresenta un'aspirazione sia per il piano umano sia per quello invisibile. Dipendere unicamente da tale piano (diciamo di regia, aspettandosi che lo stesso attui la trasformazione che rende possibile l'approccio) non genera le caratteristiche necessarie per la trasformazione che invece va costruita con coscienza e serenità. Anche se è evidente che l'appoggio deve esserci ed è anzi indispensabile, lo sforzo maggiore deve essere prodotto dall'uomo nel volere realizzare la sua trasformazione. Trasformare se stessi dipende da come si parte e se si è in grado di sapersi riconoscere, perché viceversa si rischia di trasformarsi sì, ma senza centrare l'obiettivo. Applicarsi in questa direzione apre dei contatti sottili che via via sviluppano capacità, fermo restando che bisogna saper coglierne i frutti in modo opportuno e non in funzione di quello che ci si attende. Se una data attesa è suffragata da indicazioni che non fanno parte delle proprie aspirazioni (nel senso che possono anche essere coincidenti, ma non si vuole pilotare l'esito ad esclusivo proprio vantaggio), allora si può essere certi che si verificherà la condizione che consente la realizzazione. Quando infatti si opera per un fine comune e non per soddisfare la propria egoicità non si è soli, ma sostenuti, perché è opportuno che si raggiungano mete utili alla collettività. Iniziare a vedere l'invisibile è quanto mai opportuno per, capendo, indirizzare altri. L'esperienza diretta è sempre ciò che rende evidente quel che fiumi di parole non riescono a fornire. |
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