Accorgersi
di esistere implica delle domande, domande sul chi si è; fondamento
queste per qualunque tipo di ricerca spirituale.
Solo
così, dopo, ci si può anche affidare all’onnipotenza della
perfezione implicita nell’essere e nella natura. Prima occorre aver
maturato giusta coscienza su chi si è.
La
condizione umana ha un suo motivo di essere e quando è basata sulla
Terra il motivo predominante è la fisicità.
Interrogandosi
però è facile convenire che non si è solo carne e questo scompone
l’uomo in una doppia realtà; una fisica, l’altra eterica.
Considerazione comunque che ha dei logici sviluppi perché come minimo
bisogna chiedersi dove risiede la parte eterica, quella che si
conviene essere ciò che anima la fisicità stessa.
Questa
è anche una considerazione d’obbligo perché se così non fosse, se
la fisicità non avesse necessità di animazione, allora sarebbe
sufficiente a se stessa e crollerebbe tutto il costrutto sull’aldilà
e sull’oltre.
Ma,
interrogarsi e convenire che esiste nell’uomo questa doppia
condizione, non può concludersi nella semplice accettazione che così
è e basta.
Ciò
infatti alimenta la separazione che già esiste tra uomo fisico e
l’essere energetico che egli stesso è in una condizione-dimensione
diversa e più sottile rispetto a quella fisica. Alimenta a tal punto
la separazione da diventare necessaria una distinzione tra le
coscienze dell’uomo; quante sono e a chi appartengono, se è
evidente che l’uomo (fisico) non è in
grado di presenziare al suo essere completo fatto non di sola
carne.
Questo
tipo di domanda è conseguenza dell’uomo che ricerca il suo giusto
collocamento (in ciò che per se stesso è semplicemente perfetto
poiché per suo conto genera e sviluppa processi naturali oltre la
portata dell’intervento umano ed in grado di equilibrare forze
evitando che tutto collassi su se stesso).
La
coscienza dell’uomo, affrontando il tema dell’esistenza, è
costretta a dover ricorrere alla trascendenza per potere percepire (ed
in qualche modo spiegarsi) ciò che non è misurabile, né
accessibile, attraverso la sola fisicità.
I
sensi fisici infatti operano in funzione della loro natura che li
rende abili nell’esercizio di funzioni inerenti il sostentamento e
la permanenza fisica nel luogo.
Per
tutto il resto l’uomo ricorre già alla trascendenza rispetto alla
fisicità. Ne ha bisogno quando si esprime attraverso l’arte e o la
creazione di qualunque cosa, quando si rivolge a filosofia ed etica
per spiegarsi morale e divinità. Quando, in ogni occasione anche
naturale nel corso di una semplice giornata, cerca di pervenire oltre
la sua sola fisicità ipotizzando condizioni e situazioni da
affrontare prima di verificare l’esatta consistenza della realtà
che gli si propone come esperienza da affrontare e cogliere.
Per
questo (ammesso che ci si voglia interrogare sulla trascendenza) può
essere utile sapere riconoscere in se stessi se i limiti che separano
la coscienza fisica (quella dell’uomo di carne) dall’uomo che
anima la sua stessa fisicità sono superabili o meno. Per capire se è
possibile comunicare con se stessi, con quella parte di sé quindi che
risiede in una struttura-dimensione più sottile del proprio stesso
essere così da percepire (riscontrandolo) che la realtà può ben
essere più vasta di quella che si coglie attraverso gli organi della
fisicità.
Un
po’ come svelare l’invisibile; vestirlo di consistenza solo perché
lo si approccia nel modo giusto, e cioè attraverso la condizione che
si viene a generare quando l’uomo, volendo prendere atto che può
andare oltre la sua semplice fisicità, inizia man mano ad interagire
col proprio essere uomo in un piano-livello più sottile (ma sempre
contemporaneo e presente nella stessa fisicità).
Constatando
tutto questo, senza dover ricorrere alla trascendenza per spiegarsi ciò
che sfugge; con l’aggravante di lasciarlo proprio in quella
dimensione dove l’uomo (energetico e con una sua coscienza) risiede
e staziona in attesa che avvenga il ricongiungimento. Attraverso la
ricerca, la ricerca di sé; di chi si è.
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