Le relazioni che
intercorrono in un piano dell’esistenza più sottile rispetto a
quello umano riguardano anche quello umano. E viceversa. Viceversa
perché tutto ciò che avviene nel piano umano è una ripercussione di
quello eterico e pertanto a sua volta provoca reazioni sottili
proprio in quello stesso piano da cui derivano.
Avere coscienza di ciò
apre una porta di comunicazione. Da la possibilità di stabilire un
contatto continuativo con chi si è in una dimensione dove la morte
non esiste e si persiste anche quando ci si proietta sulla Terra
attraverso una incarnazione.
Continuare a credere
che venendo in Terra (incarnandosi dunque) la propria parte eterica
abbandoni quello stato, perché la parte fisica la vincola in una
condizione di sofferenza e prigionia, è pura illusione. È perpetuare
una credenza basata sul non rapporto diretto (su chi si è in Terra
vivi da uomini e chi si è dove si risiede dopo la morte fisica) solo
perché non si concepisce che si è già “la” anche durante la vita
fisica.
Sfatare questa
credenza è un po’ come distruggere un simulacro sacro, qualcosa che
sarebbe meglio restasse sempre così come è (e pertanto così come si
crede) per evitare di doversi assumere responsabilità connesse ad un
diverso tipo di vita, quello che riguarda il sé che si è oltre la
sola condizione materiale. In pratica quel che si pensa si diventi
dopo che il corpo muore.
L’esperienza
attraverso il corpo (e quindi la conseguente animazione dello
stesso) ha una mira ben precisa: provare fisicamente ciò che è
impossibile verificare in uno stato in cui la fisicità non è
ammessa; per rendersi conto di come sia possibile accrescersi di
capacità connesse proprio alla fisicità quando invece sembra che ci
si vada ad imprigionare solo perché si perde la capacità di essere
presenti contemporaneamente in modo vigile sia nel mondo fisico
materiale sia sul piano eterico.
E questo per dare modo
alla coscienza di accrescersi di esperienze atte a significare una
presenza, la propria, attiva in un ambito dove un altro tipo di
coscienza deve svolgere un suo cammino per concepire che la vita è
una, ma con risvolti diversi che riguardano anche modi di percepire
funzionali al mondo in cui si opera per espandersi in
consapevolezza.
Dire di essere
contemporaneamente vivi in più piani dell’esistenza implica esserlo
oppure semplicemente supporlo. Si suppone quando si pensa che
l’incarnazione faccia abbandonare una data dimensione di
provenienza, si è quando invece si ha piena consapevolezza che è
così perché lo si sperimenta direttamente e senza possibilità alcuna
di dubbi o equivoci.
Certezza comunque è e
deve essere prova provata a se stessi e per se stessi; le prove e i
riscontri altrui o sono conferme se si è nella capacità, oppure sono
semplice attaccamento a qualcosa di illusorio perché non si è nella
capacità di svolgere un proprio ben preciso compito: concepire che
non si muore quando si è nella condizione dove la morte sembra
dettar legge.
Esistono diversi piani
di coscienza e gli equivoci sorgono ed alimentano teorie quando si
pensa che esista il di qua e l’aldilà e non ci si prende la briga
della verifica in proprio di possibilità diverse che la realtà
esprime come suo stato e modo di essere.
Rinunciare a qualcosa
equivale anche ad accettare uno stato che non prevede quella
possibilità. E questo succede proprio all’uomo quando, invece di
considerare che la vita sorga da dentro di sé (e quindi sua fin dalla
sua nascita in Terra), attende che lo diventi in funzione della
morte. Oltretutto attraverso la semplice speranza che così possa
essere poiché privo della certezza che veramente così è.
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